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Bulgaria: il ritrovamento del simbolo divino nell'icona ortodossa tra monasteri,
scuole, atelier, musei

Un’esperienza di viaggio nella Bulgaria post-comunista, caratterizzata dalle purtroppo consuete contraddizioni che divergono da una rilegittimata religiosità ad un forzatamente introdotto capitalismo, ritrovando però alcuni punti storici cui riferirsi quali ad esempio l’orgoglio nazionalista incarnato dall’eroe nazionale Vasil Levski oppure l’arte sacra della rappresentazione religiosa delle icone, conservata e trasmessa nei secoli dai monasteri ortodossi.

Il profano può semplificare l’icona ortodossa come pura rappresentazione pittorica (la classica pittura religiosa raffigurante una manifestazione divina, soffermandosi magari poi su prospettive ritenute poco geometriche o su espressioni e sguardi considerati primitivi), mentre invece si tratta di una forma espressiva artistica e mistica che si avvale di un linguaggio a molti sconosciuto. E questo arricchimento conoscitivo vale tutto un viaggio.

Citiamo al proposito un presbitero e teologo ortodosso (ritratto tra l’altro nella pala destra dell'altare della chiesa di San Blandano di Bronte - CT con tre braccia: due protese a venerare la Vergine, una nell'atto di scrivere):

“Non avete visto i suoi tratti” (Dt 4, 12). Oh! Quale sapienza del legislatore! Come fare un’immagine dell’Invisibile? Chi potrebbe rappresentare i suoi tratti, se non vi è nessuno simile a lui? Come rappresentare chi non ha né quantità, né grandezza, né limiti? Quale forma attribuire a colui che è senza forma? Che ne è qui del mistero?

Questo, senza dubbio: se tu vedi che l’Incorporeo si è fatto uomo per te, allora puoi esprimere la sua immagine umana. Poiché l’Invisibile, incarnandosi, si è mostrato visibile, è ovvio che puoi dipingere l’immagine di colui che è stato visto.

Se chi non ha corpo, né forma, né quantità, né qualità e che trascende ogni grandezza grazie all’eccellenza della sua natura; se costui – dico – pur essendo di natura divina ha fatto sua la condizione dello schiavo, riducendosi alla quantità e alla qualità e rivestendosi delle umane fattezze, dipinge allora sul legno la sua immagine e presenta alla contemplazione colui che volle divenire visibile.

Giovanni Damasceno (676-749 ca.)


Lo sguardo del Cristo, della Vergine o del Santo dell’icona verso di noi è uno sguardo dall’eternità, uno sguardo di serena e severa consapevolezza. Privo di passioni e di senso terreno, come il gesto benedicente del Cristo. E’ uno sguardo che si fa strada nel nostro, creando turbamento e alimentando speranza. E’ il suo sguardo che guarda noi, non noi l’icona.

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